Moscerini della frutta, “avatar” per la medicina personalizzata contro il cancro
Da organismi modello per la ricerca in campo oncologico ad “avatar” per la medicina personalizzata: i moscerini della frutta possono sviluppare tumori molto simili a quelli umani e contribuire alla ricerca di nuove terapie per aumentare la sopravvivenza dei pazienti.
L’esperienza di un moscerino della frutta con il cancro sembra lontana anni luce da quella di un paziente oncologico umano. Ma il piccolo artropode e l’Homo sapiens si somigliano più di quanto suggeriscano le apparenze. I moscerini della frutta possono ubriacarsi, diventare obesi, sviluppare il diabete e le malattie neurologiche. Nelle due specie, anche i tumori si comportano in modo simile e adoperano le stesse vie di segnalazione cellulare. Gli scienziati studiano queste somiglianze per accelerare lo sviluppo di nuove terapie personalizzate e aumentare la sopravvivenza dei pazienti.
IL MOSCERINO DELLA FRUTTA
Il moscerino della frutta, noto anche con il nome scientifico di Drosophila melanogaster, è l’organismo modello che compare più frequentemente sui testi di genetica nelle scuole superiori o nelle università. Meno conosciuto, però, è il suo ruolo nella ricerca contro il cancro, che nei laboratori e negli articoli scientifici viene spesso “oscurato” da linee cellulari, organoidi o piccoli roditori.
A prima vista, il moscerino della frutta somiglia molto poco all’essere umano. Eppure, dal punto di vista genetico, le due specie sono abbastanza simili, con il 60% di DNA “in comune”. Il 75% dei geni responsabili per malattie nell’uomo ha un suo corrispondente in Drosophila. Per quanto riguarda il cancro, la maggior parte delle vie di segnalazione che nei mammiferi controllano la proliferazione e migrazione cellulare e la riparazione del danno al DNA sono analoghe a quelle dei moscerini. In altre parole, sono “conservate” tra gruppi di specie, anche molto distanti tra loro.
Per queste ragioni, quindi, il moscerino della frutta è un buon modello per studiare i tumori, dalla formazione alla proliferazione e migrazione delle cellule cancerose. Rispetto ad altri modelli, è più facile da manipolare, meno costoso e soggetto a meno restrizioni di tipo etico. Il ciclo vitale breve, inoltre, permette di studiare gli effetti dei farmaci per molte generazioni e di avere a disposizione grandi quantità di individui.
COSA UCCIDE UN MALATO DI CANCRO?
Negli studi sui moscerini della frutta, ad esempio, i ricercatori possono seguire l’animale con il tumore fino alla morte naturale – mentre roditori e altri mammiferi sono sottoposti per legge a eutanasia ai primi segnali di sofferenza. In due studi pubblicati su “Developmental Cells”, i ricercatori hanno usato i moscerini per rispondere a una domanda che in apparenza potrebbe sembrare banale, ma non lo è: cosa uccide un malato di cancro?
Molti tumori, come quello al fegato o al pancreas, compromettono le funzioni di organi fondamentali per la vita. Se il tumore primario non è situato in un organo vitale, per la stessa logica, potrebbero essere le metastasi a uccidere il paziente. Ma nel caso di tumori non metastatici e in organi meno critici, come le ovaie o la pelle, le cose si fanno più complicate. Ed è difficile dare una spiegazione che dipenda esclusivamente dalle cellule tumorali e non da “qualcos’altro”.
UN CAMBIO DI PARADIGMA
Studiando i tumori di Drosophila, che sono simili a quelli umani, i ricercatori hanno scoperto che le cellule cancerose rilasciano nel circolo sanguigno una serie di composti chimici che hanno un’azione a distanza. Uno in particolare, l’interleuchina-6 (IL-6) compromette la barriera emato-encefalica, che normalmente mantiene separati il cervello dal circolo sanguigno, con conseguenze disastrose. Un altro blocca gli effetti dell’insulina, che permette all’organismo di assorbire il glucosio nel sangue per produrre energia – potrebbe spiegare uno degli effetti sistemici più comuni nel cancro, la cachessia (deperimento organico, perdita di peso, indebolimento fisico). Altre sostanze secrete dal tumore sarebbero associate a edemi, coaguli e disfunzioni immunitarie.
L’ipotesi dei ricercatori è che bloccare l’azione di questi composti chimici permetterebbe di aumentare la sopravvivenza dei pazienti. Uno studio sui roditori ha dimostrato che il 75% dei topi trattati con un inibitore dell’IL-6 era ancora vivo 21 giorni dopo l’induzione del cancro, contro il 25% dei topi non trattati. Rispetto alle terapie tradizionali, nuovi trattamenti rappresenterebbero un cambio di paradigma: avrebbero come bersaglio non le cellule tumorali, ma il “dialogo” tra il tumore e i tessuti sani, che può avere luogo anche lontano dal sito originario del tumore. Inoltre, poiché le cellule cancerose non sono un bersaglio diretto, il tumore non dovrebbe sviluppare resistenza agli effetti dei farmaci.
MOSCERINI-AVATAR
Un altro scenario riguarda la medicina personalizzata o di precisione. Ciascun tumore di ogni paziente è diverso, ossia possiede mutazioni specifiche e uniche nel suo DNA. Uno stesso farmaco, quindi, potrebbe avere effetti diversi, anche se i pazienti hanno lo stesso “tipo” di cancro. Ma cosa c’entra Drosophila?
Uno degli scenari possibili è quello di trasformare le Drosophile in centinaia di piccoli “avatar”, che avranno le stesse mutazioni nei geni corrispondenti a quelli mutati nel tumore del paziente. Si potrebbe obiettare che esistono già dei metodi per “coltivare” le cellule tumorali dei pazienti in laboratorio, generando complessi modelli cellulari a tre dimensioni chiamati “tumoroidi”. Questo metodo, però, non riproduce la complessità di un organismo animale “intero”, che comprende anche i vasi sanguigni, il sistema immunitario e la matrice extracellulare. Ma allora gli “avatar” potrebbero essere mammiferi più simili all’essere umano, come i roditori. Come abbiamo visto, però, Drosophila e il suo genoma sono più semplici da manipolare e permettono di testare contemporaneamente molte combinazioni di farmaci e in tempi più rapidi, poiché hanno un ciclo vitale molto breve.
I PRIMI RISULTATI
L’approccio “fly-to-bedside” (“dai moscerini al letto del paziente”) è ancora in fase sperimentale ma negli ultimi anni sono stati pubblicati almeno due articoli scientifici, il primo nel 2019 su Science Advances e il secondo nel 2021 su iScience. Il cocktail di farmaci personalizzati selezionato con lo screening sui “moscerini-avatar” ha stabilizzato le condizioni di due pazienti con cancro al colon retto e carcinoma adenoido-cistico per un anno, rallentando la progressione del tumore.
C’è persino chi ha deciso di investire in questo progetto visionario. La start-up londinese Vivan Therapeutics ha l’obiettivo di condurre per ogni singolo paziente una vera e propria sperimentazione clinica basata su una “banca” di moscerini. Centinaia di migliaia di Drosophile con stesse mutazioni di un paziente umano verrebbero “arruolate” nel trial clinico per eseguire migliaia di screening farmacologici in parallelo contro quel particolare tumore. Un lavoro che in futuro, auspicano i ricercatori della Vivan Therapeutics, potrebbe essere svolto dall’intelligenza artificiale, utilizzando algoritmi di apprendimento automatico per identificare le combinazioni di farmaci efficaci contro particolari set di mutazioni.
Erika Salvatori
Takis, avatar, ricerca in campo oncologico, Drosophila melanogaster