La terapia fagica approda alle tartarughe marine
Riscoperta da poco nel mondo occidentale, la terapia fagica contro le infezioni batteriche è già al vaglio della sperimentazione clinica sull’uomo. Ma intanto, per la prima volta approda anche alle tartarughe marine, grazie ai ricercatori dello JCU Turtle Health Research Facility. Lo scopo è quello di sostituire gli antibiotici nel trattamento degli animali accolti nei centri di recupero.
Con gli antibiotici non bisogna esagerare. Lo sanno anche i medici veterinari, che hanno imparato ad avere un occhio di riguardo per i pazienti più delicati. Tra questi, le tartarughe marine: a dispetto della corazza, sono animali molto fragili e per una corretta assimilazione dei nutrienti si affidano al metabolismo dei batteri commensali che vivono nel loro intestino.
Missione tartaruga
Tra le tartarughe marine, molte specie sono a rischio di estinzione e per questo vanno tutelate. Capita spesso di accogliere esemplari feriti o debilitati negli appositi centri di recupero, gestiti da professionisti che si occupano dell’animale fino alla sua completa guarigione, prima di rimetterlo in libertà. Ma non sempre è possibile formulare una diagnosi accurata; spesso il trattamento d’elezione è quello con antibiotici ad ampio spettro, che uccidono non solo i batteri “cattivi”, ma anche quelli “buoni”. Tuttavia, l’equilibrio della flora intestinale è fondamentale per il benessere di una tartaruga, poiché controlla il suo apporto di nutrienti dal cibo: gli antibiotici potrebbero non essere la soluzione migliore.
Verso un’alternativa
La terapia fagica rappresenta una potenziale alternativa. Per uccidere i batteri non vengono adoperati farmaci, bensì i loro nemici naturali, i batteriofagi. Sono un gruppo di virus che infettano solo batteri, si moltiplicano al loro interno fino a distruggere la cellula ospite. Non è una novità né un trattamento concepito appositamente per le tartarughe marine, anzi: come spesso accade, è la medicina veterinaria a prendere in prestito tecniche e protocolli già in uso o in fase di sperimentazione sull’uomo.
Si iniziò a parlare di terapia fagica nei primi anni del secolo scorso. Ma era destinata a passare in secondo piano dopo la scoperta degli antibiotici, che ha segnato una pietra miliare nella lotta alle infezioni batteriche: per la prima volta, siamo passati in vantaggio. Ma è durata solo qualche decina d’anni: oggi gli antibiotici continuano a salvare vite, ma hanno anche favorito la comparsa di super batteri resistenti, contro cui siamo praticamente inermi. A questo si aggiungono gli effetti collaterali ai danni della flora batterica intestinale, che nelle tartarughe in particolare è un problema da non sottovalutare.
I virus “buoni” contro i batteri “cattivi”
I ricercatori hanno dimostrato per la prima volta che la terapia fagica può essere una valida alternativa al trattamento con antibiotici nelle tartarughe marine della specie Chelonia mydas. Hanno comparato la somministrazione dei batteriofagi con quella degli antibiotici tradizionali ad ampio spettro, analizzando in particolare la composizione del microbiota intestinale dopo il trattamento.
Come era prevedibile, gli antibiotici hanno causato una significativa riduzione della diversità microbica intestinale. La terapia fagica, invece, ha avuto un impatto trascurabile, perché i batteriofagi sono molto più selettivi: per riconoscere i loro bersagli, adoperano delle particolari molecole di superficie che distinguono i batteri “cattivi” da quelli “buoni; questi ultimi non hanno niente da temere e possono continuare a svolgere le loro attività. Per la fortuna delle tartarughe marine.
Erika Salvatori
Fonte:
Ahasan, Md.S. (2019). Bacteriophage versus antibiotic therapy on gut bacterial communities of juvenile green turtle, Chelonia mydas. Journal of Environmental Microbiology. https://doi.org/10.1111/1462-2920.14644