Covid-19 più contagioso della Sars: perché si diffonde così facilmente?

Coronavirus

Covid-19 rappresenta una minaccia globale soprattutto a causa della sua elevata contagiosità, che sta portando al collasso il nostro sistema sanitario nelle regioni più colpite. Benché questo virus sia simile a quello della Sars, presenta anche caratteristiche uniche, grazie alle quali si diffonde molto più rapidamente.

La pandemia Covid-19 si è diffusa rapidamente in oltre 100 paesi in tutti i continenti, contagiando più di 300.000 persone. Il virus Sars-Cov-2 è della stessa famiglia di quelli che nel 2003 e nel 2012 furono responsabili delle epidemie di Sars (Severe Acute Respiratory Syndrome) e Mers (Middle East Respiratory Syndrome). Pur essendo meno letale, risulta molto più contagioso. Una sfida per i sistemi sanitari di tutto il mondo, che si trovano a gestire contemporaneamente molti pazienti ospedalizzati che necessitano di assistenza intensiva e continuativa. I ricercatori stanno studiando il virus e hanno scoperto quali caratteristiche condivide con i suoi parenti più stretti e quali, invece, lo rendono unico e contribuiscono alla sua elevata trasmissibilità.

Più contagioso della Sars

Sars-Cov-2 è una versione meno letale di Sars-Cov, il virus responsabile della Sars, ma si diffonde molto più rapidamente. L’epidemia di Sars era iniziata nel novembre 2002 e aveva colpito poco più di 8000 persone in 29 paesi nell’arco di 8 mesi, uccidendone 774. I numeri di Covid-19 sono purtroppo di tutt’altro ordine e destinati a crescere nei prossimi mesi. Sono circa 300.000 le persone contagiate in oltre 100 paesi, e più di 13.000 i morti, di cui il 37% in Italia. Si tratta della più grave emergenza sanitaria dei nostri tempi. E il cuore del problema sembra essere proprio l’elevata contagiosità del nuovo virus, che ha richiesto anche qui in Italia misure di contenimento particolarmente rigide.

Quasi identici

Eppure, Sars-Cov-2 condivide fino all’80% del suo patrimonio genetico con il “gemello diverso” Sars-Cov. Entrambi i virus presentano sulla superficie la cosiddetta proteina Spike, che consente l’ingresso del virus nella cellula ospite.

Le proteine Spike sono comuni a tutti i coronavirus, che si chiamano così proprio perché hanno queste piccole protrusioni sulla superficie che al microscopio ricordano una specie di corona. Ma diversi coronavirus usano in genere diverse porzioni, o domini, della Spike per agganciare diversi recettori sulla superficie delle cellule umane.

Sars-Cov e Sars-Cov-2, invece, interagiscono con lo stesso recettore, di nome ACE-2 (angiotensin-converting enzyme) per mezzo dello stesso dominio di Spike. ACE-2 è un enzima di membrana espresso soprattutto nei polmoni ma anche in altri organi, come reni e intestino.

Gemelli diversi

Quando Spike lega ACE-2 succedono due cose. La proteina, che è formata dalle due subunità S1 e S2, prima di agganciare ACE-2 esiste in conformazione “chiusa” o inattiva. Ma subito dopo l’interazione con il recettore, alcuni enzimi dell’ospite tagliano il legame tra S1 e S2 e modificano la sua conformazione da “chiusa” ad “aperta”. Questa trasformazione permette l’ingresso del virus nella cellula.

Il nuovo coronavirus, però, ha una particolarità: la sua proteina S contiene un sito di taglio riconosciuto da un enzima, la furina, espressa in molti tessuti e organi umani, come fegato, polmoni e intestino. La presenza di questo sito, che è invece assente nel virus della Sars, rende Sars-Cov-2 potenzialmente capace di attaccare molti organi diversi allo stesso tempo. Non a caso anche il virus dell’influenza, che ha le stesse caratteristiche di elevata patogenicità e trasmissibilità, adopera questa strategia.

Studi recenti hanno inoltre dimostrato che la proteina S di Sars-Cov-2 lega ACE-2 con un’affinità fino a 10 volte maggiore rispetto a Sars-Cov. Il nuovo coronavirus, inoltre, replica con grande efficienza nelle vie respiratorie superiori, portando a un'enorme carica virale nella gola e nel naso, che aumenta le probabilità di diffusione tra gli individui.

La scoperta apre la strada a nuove possibili strategie terapeutiche. I pazienti affetti da Covid-19 potrebbero beneficiare del trattamento con inibitori della furina o di ACE-2, in grado di bloccare l’ingresso del virus nelle cellule. Ma questi enzimi hanno anche una serie di funzioni fisiologiche, e di conseguenza qualsiasi inibitore richiede anche un’attenta valutazione per ogni possibile effetto collaterale o tossicità sistemica.

Erika Salvatori

Fonti: Cell

 

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